Cresciuto in ambienti di interessi assai lontani dal teatro - il padre era un fabbro e il nonno un falegname - rimase un autodidatta, guidato all’arte solo dal suo forte istinto. Il suo vero esordio teatrale fu a 15 anni in un vecchio granaio municipale a Campagnano presso Roma dove fu assunto come macchiettista col nome di Ettore Loris da un impresario di pochi scrupoli. Debuttò di fronte a un grande pubblico al caffè-concerto Gambrinus. Fu a quella dura scuola che cominciarono a venir fuori i primi numeri di un autentico repertorio petroliniano: Canzona guappa, La Caccavella, la Sonnambula, Fortunello, Archimede, il bell’Arturo, prima caricatura del beau decadente e dannunziano, dal quale doveva svilupparsi in seguito il più complesso e spietato Gastone.
Petrolini rinnova dalle fondamenta l’arte del Varietà con l’inversione dei tipi, l’eccesso della caratterizzazione, l’automatismo dei gesti, la solitudine dell’esibizione. Distrugge le comuni gerarchie del teatro per diventare voce solitaria, attraverso l’eliminazione della spalla. Si addobba, metaforizza il corpo, facendolo parlare con pari eloquenza delle parole.
La vera scoperta avvenne fuori d’Italia. Nel 1907 l’attore s’imbarcò per l’Uruguay, impegnato da un imprenditore sudamericano; alla prima replica il successo diventò strepitoso e lo accompagnò in tutto il giro attraverso l’Argentina e il Brasile. I Salamini (1908) e Fortunello (1915) costituiscono l’apice del suo rovesciamento dei canoni; massacratore di idoli e immagini consacrate dalla tradizione e dalla convenzione, Petrolini irrompeva travolgendo con acredine e ferocia sconvolgenti.
Allo scoppio della guerra (1915) mise insieme una compagnia che debuttò al Teatro Cines (l’attuale Eliseo) con la rivista Venite a sentire, cui fecero seguito Zero meno zero di L. Folgore e Contropelo di T. Smith. Cominciò con dei bozzetti (47, morto che parla, E’ arrivato l’accordatore, Nerone, Amori de notte), che segnano il passaggio dal “numero” e dalla macchietta dell’originario spettacolo petroliniano, alla commedia vera e propria. Scrissero per lui, o gli affidarono i loro lavori, autori già rappresentati dalle compagnie regolari (A. Testoni, G. Civinini, S. Gotta, L. Chiarelli, R. Simoni, F. M. Martini, U. Ojetti, G. Rocca, A. Colantuoni, A. Fraccaroli). Ma il vero personaggio venne fuori quale interprete delle sue commedie come in Mustafà, non tutto di sua mano (rifacimento di una commedia di due autori argentini, A. Discépolo e R. J. De Rosa). La commedia Gastone è invece tutto di sua mano. Così Benedetto fra le donne, dove Petrolini ha fatto un po’ di autobiografia col personaggio di un bulletto romano aggressivo, fantasioso e bravo ragazzo. In Chicchignola, del 1931, giudicata da molti la migliore delle sue commedie, si avverte l’influsso di Pirandello di Berretto a sonagli, così come nell’adattamento che lo stesso scrittore fece di Lumìe di Sicilia cambiato poi nel titolo Agro di limone, in cui il protagonista non arrivava dalla Sicilia ma dall’Abruzzo.
Dopo l’occasionale partecipazione a due film muti (Petrolini disperato per eccesso di buonumore del 1913 e il lungometraggio drammatico Mentre il pubblico ride, 1920) l’artista debuttò nel cinema all’inizio del sonoro, nel momento cioè in cui i più popolari interpreti della scena venivano chiamati dinnanzi alla macchina da presa a titolo sperimentale. Recitò nei film Cortile (1930), Medico per forza (1931) ma soprattutto Nerone di A. Blasetti (1930), registrazione dei numeri più celebrati del suo repertorio (da Fortunello a Gastone).
Della sua arte non danno che un pallido riflesso le autobiografie e i repertori da lui stesso curati (Ti ha piaciato?, 1915, Modestia a parte, 1932, Un po’ per celia un po’ per non morir, 1936), Ammalato di angina, muore il 29 giugno 1936 a Roma.
La sua battuta, forse l’ultima: «Che vergogna!...Mori’ a cinquant’anni», riferita a se stesso, rivela la stretta vicinanza tra la risata irridente del suo teatro e uno spettro di morte che sempre lo accompagnava. La tomba dell’attore, su concessione gratuita del Comune di Roma, si trova al riquadro 12 del Vecchio Reparto. Lo scultore K. Todoroff nel 1931 ne eseguiva il busto scolpito che lo ritrae nell’inconfondibile fisionomia, carica di espressività. Completa l’opera, su base in granito, il capitello di ordine corinzio, di spoglio, proveniente dall’Antiquarium comunale.