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Giacomo Balla
(Torino 1874 – Roma 1958)
Pittore

Figlio di un chimico di professione, appassionato di arte e fotografia. Alla morte del padre Giacomo ha nove anni, lavora presso un laboratorio litografico, frequenta una scuola serale di disegno e l’Accademia delle Belle Arti. A venti anni risale la sua prima esposizione, un acquerello dal titolo Tramonto, che veniva accettato nel 1891 alla Società Promotrice di Belle Arti. I primi dipinti noti sembrano collocarsi nella linea culturale piemontese di Giacomo Grosso e di Giovanni Segantini. Il 29 gennaio 1895 Balla è a Roma insieme alla madre; dipinge ritratti e paesaggi e si accosta alla pittura sociale. In questi anni frequenta il circolo dei torinesi presenti a Roma insieme a lui, Giuseppe Pellizza da Volpedo e in seguito Giovanni Cena. Erano emerse, quali tratti salienti, le drammatiche condizioni di vita dei contadini, l’analfabetismo, la malaria, la mancata bonifica, rese in un verismo sociale di matrice positivista, inteso come documentazione e denuncia sociale. Interprete di una forma di religiosità laica e umanitaria, attenta al lavoro e alla fatica degli umili, Balla a Roma conosce giorni di difficoltà e solitudine, maturando la sensibilità verso la gente che lavora e che soffre. Insieme a Giovanni Cena si rende interprete di quel disagio politico e culturale, promotore di quel movimento che porterà, per una risoluzione dell’analfabetismo e della campagna antimalarica, alla fondazione delle scuole nell’Agro Romano. All’attività del gruppo collaboravano uomini della cultura e artisti come Alessandro Marcucci e Duilio Cambellotti, autori di illustrazioni di opuscoli e articoli sulle esperienze condotte nelle scuole.Nel settembre del 1900 Balla compie il suo viaggio a Parigi. Sperimenta in quadri come Autosmorfia, l’interesse per uno stato dinamico. Il problema sociale in quegli anni unisce operai e impiegati dello Stato ed esplode nella violenta protesta che porterà alla nascita dell’Istituto delle case popolari nel 1903. I socialisti raddoppiano e nel 1904 viene indetto il primo grande sciopero generale. Duilio Cambellotti dipingeva L’incudine e Le cave di Marino, mentre Balla eseguiva La giornata dell’operaio, specchio di una condizione umana di lavoratori che da sempre attendono. Nel 1909 nello studio di Balla si moltiplicano i quadri che hanno a soggetto la natura, in cui il dinamismo, già presente nei lavori precedenti, diventa protagonista di una ricerca tecnica che lo porterà ad aderire al Futurismo. Boccioni e Severini lo chiamano a firmare nel 1910 il Manifesto della pittura futurista (proclamato un anno prima su «Le Figaro» da Filippo Tommaso Marinetti), emblema dello sperimentalismo assoluto della sua ricerca che sfocia ora nella complicata sintesi tra luce, movimento, spazio, stato d’animo e psicologia. Nasceva il concetto di avanguardia anche per Balla, a cui di fronte a opere come Compenetrazioni iridescenti e Cane al guinzaglio (1912, in cui il movimento dell’animale era reso moltiplicando all’infinito le zampe, in base al principio fotografico e cinematografico della persistenza delle immagini nella retina) Anton Giulio Bragaglia dedicava i suoi primi esperimenti di “fotodinamismo”. Subito dopo si colloca la sua produzione più conosciuta , Spessori d’atmosfera (1913), Linee andamentali più successioni dinamiche (1913) Volo di rondine, Velocità auto-luci, Vortice, in una pittura aperta, nitida e gioiosa. Il 1° marzo 1915 firma il manifesto intitolato Ricostruzione futurista con E. Prampolini e F. Depero; l’11 settembre 1916 il Manifesto della Cinematografia futurista. Fino al 1935 Balla non abbandona mai l’ideologia futurista, quando già i suoi compagni lo avevano fatto da tempo, abbracciando nuove correnti di avanguardia. Dopo vari dissapori con Marinetti, dal 1935 la sua pittura ritorna tradizionale. Muore a Roma il 1° marzo 1958.