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Giuseppe Gioacchino Belli
(Roma 1791 – 1863)
Poeta

Nasce a Roma e ha un’infanzia povera con il fratello Carlo e la sorella Flaminia. Presto orfano, svolge lavori modesti, cambiando spesso casa, una costante della sua vita, così che numerose saranno le sue abitazioni. La sorella prese i voti e Belli per intercessione del cardinale Ludovico Micara ottenne una stanza presso il convento dei cappuccini in piazza Barberini. Al 1805 risale la prima opera letteraria La Campagna, dissertazione sulla bellezza e gli effetti benefici della natura. Nel 1812 venne accolto con il nome Tirteo Lacedemonio nell’Accademia degli Elleni. L’Accademia, fondata dal Nibby nel 1809, divenne presto controllo della cultura da parte dell’Impero e dunque sciolta nel 1813 e fondata in una nuova, l’Accademia Tiberina. Belli vi aderirà con il nome di Linarco Dirceo. Dell’ambiente facevano parte numerosi ecclesiastici, tra cui Mauro Cappellari -futuro papa Gregorio XVI- e il principe di Metternich; tutti a garanzia di un governo temporale. Belli si inserisce in un ambiente che gli sarà di grande aiuto per migliorare la sua situazione economica. Dopo varie esercitazioni letterarie –tre canti in terzine La pestilenza stata in Firenze (1816), una collana di sonetti Della Proverbiale (1816), un canto in terzine d’ispirazione dantesca A Filippo Pistrucci Romano (1817)- tra il 1824 e il 1840 scrive lo Zibaldone, opera che comprende 4525 voci, indici di cose notabili, etimologie, curiosità erudite. Il 12 settembre 1812 sposa senza amore Maria Conti, ricca vedova del conte Giulio Pichi, parecchio meno giovane di lui, dalla quale ebbe un unico figlio, Ciro. Il matrimonio era caldeggiato dal potente cardinale Consalvi, che nello stesso anno gli trova un’ottima sistemazione all’Ufficio del Bollo e del Registro. Il poeta si trasferisce così nel lussuoso appartamento della sposa in via Poli. Iniziano i suoi viaggi a Milano, Rovigo, Venezia, Ferrara. A Milano decisivo fu l’incontro con Carlo Porta, la cui poesia dialettale di grande realismo, non solo a livello letterario ma anche politico, nella tematica antiaristocratica e anticlericale, doveva incidere fortemente sulla sua formazione. Probabilmente da questo viaggio matura l’idea di un poema dedicato alla plebe di Roma. Inizia la sua scrittura “clandestina”, che trova il suo incipit con il sonetto Pio VIII dell’aprile 1829. Il poeta comincia a scrivere centinaia e centinaia di sonetti, fino a raggiungere il cospicuo numero di 2279. Belli vive un disinteresse o sfiducia nelle reali possibilità di cambiamento all’interno della compagine sociale della città: un’aristocrazia parassitaria e imbelle, una borghesia inesistente o frustrata dal potere clericale e una plebe senza riscatto. Gli eventi biografici intanto mutavano, la moglie moriva nel 1837. Si trovò improvvisamente gravato da una situazione economica critica. Rientrò alla Tiberina, da cui si era allontanato nel 1828 e segretario del monsignor Vincenzo Tizzani, vide la luce la prima breve pubblicazione dei Versi di G.G. Belli Romano (edizione Salviucci, Roma 1839). Le rivoluzioni del ’48, la Repubblica Romana, provocarono in lui avversione, anche se vagheggiante l’indipendenza del paese, la protezione del governo pontificio non gli venne mai meno. Tra il 1851 e il ’59 Belli compose un ragguardevole numero di sonetti, ottave, sermoni, dallo spiccato carattere religioso. Negli ultimi anni di vita il poeta rinnegò i suoi sonetti, rifiutando di riconoscere in essi i propri sentimenti, per paura che i suoi scritti potessero nuocere alla carriera non facile del figlio: «[…] esiste una cassetta piena di miei manoscritti in versi. Si dovranno ardere» scrisse nel suo testamento, consegnandolo al monsignor Tizzani. Fortunatamente non fu fatto e il figlio si prese cura di pubblicarli a più riprese. Belli moriva d’apoplessia il 21 dicembre 1863, senza potere assistere all’enorme successo letterario della sua “vera” scrittura, quella clandestina.La tomba della famiglia Belli si trova al Verano, nel riquadro 49 dell’Altopiano, sulla cui lapide spicca l’epigrafe latina dettata dall’amico Francesco Spada: «Hic situs est/ Josephus Ioachim Belli/ Romanus/ qui religione moribus ingenio/ exemplar integer acer/ carminibus omnigenis/ delectando pariterque monendo/ late enituit/ Natus die VII Sept. A. MDCCXCI/ Vita decessit XXI Decemb MDCCCLXIII».