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Bruno Buozzi
(Pontelagoscuro/FE 1881-Roma 1944)
Sindacalista

Trasferitosi a Milano ai primi anni del Novecento, operaio meccanico alle Officine Marelli, aderisce al Partito Socialista ed inizia l’attività sindacale.

Nel 1911 diventa segretario generale della Fiom, il sindacato degli operai metalmeccanici. E’ deputato socialista fin dal 1919, e la sua figura è centrale nelle rivendicazioni del primo dopoguerra per la riduzione dell’orario di lavoro e la determinazione dei minimi salariali, e nell’organizzazione degli scioperi che sfociano nell’occupazione delle fabbriche nell’infuocato “biennio rosso” 1919-20. Ma, mentre Antonio Gramsci ritiene che la costituzione di consigli per l’autogestione delle fabbriche possa rappresentare la cellula di una rivoluzione politica, Buozzi resta su posizioni legalitarie, credendo piuttosto nell’opzione riformista moderata di Filippo Turati. Nel 1920, infatti, la Fiom si dissocia apertamente dal movimento dei consigli di Torino.

Continuamente corteggiato da Mussolini, al contrario di altri non cede al collaborazionismo ma anzi, dopo la crisi politica aperta dall’omicidio Matteotti, inizia a sfidare apertamente il fascismo. Nel 1925 è ancora alla testa di imponenti scioperi, ma nel 1926 viene dichiarato decaduto in seguito alla Leggi speciali in difesa dello Stato. Da allora Buozzi è costretto a condurre nella clandestinità la lotta sindacale, lavorando alla realizzazione di un’unità con i comunisti della CGdL (“Una sola classe, una sola organizzazione”) e movendosi soprattutto a Parigi, dove riparano molti politici e attivisti italiani perseguitati dal regime. Qui viene arrestato dai nazisti nel febbraio del 1941, e dopo breve tempo viene consegnato all’Italia e confinato a Montefalco (Perugia). Caduto Mussolini, lavora con Giuseppe Di Vittorio per il PCI e Achille Grandi per la DC, alla costituzione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), ma non riuscirà a firmare l’accordo conclusivo (Patto di Roma del 9 giugno 1944).

Il 13 aprile del 1944 viene arrestato a Roma dalla polizia nazista e rinchiuso nel carcere di via Tasso, dove viene identificato. Caricato su un camion tedesco con altri dodici detenuti, viene condotto sulla via Cassia, in località La Storta, e fucilato con gli altri il 4 giugno. Quello stesso giorno gli Alleati liberano Roma.