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Cappella Viola (Corrado Cianferoni-Ettore Ferrari)

Il progetto di questa costruzione, rinvenuto nell’Archivio Cimiteriale di Roma e firmato dall’architetto Corrado Cianferoni (Firenze 1870-Roma 1931), risale al 1922, anno della morte di Niccolò Viola. Viola, alla morte della moglie, Elvira Poggesi Viola, nel 1902, le aveva dedicato una stele che si trova all’interno della cappella. Il bassorilievo è opera di Ettore Ferrari (Roma 1845-1929), autore inoltre di un busto nel Quadriportico eseguito per commemorare la morte dell’amico Niccolò Viola (1922, braccio sinistro, tra l’arcata LV e LVI). L’amicizia tra Viola e Ferrari si consolidò con una lunga pratica di lavoro assieme, perchè Niccolò, di origini umili, era divenuto capo di una ditta di trasporti che aveva innalzato molte opere dell’artista, tra le quali il monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori.

Corrado Cianferoni (Firenze 1870-Roma 1931), fu architetto e direttore della Commissione Artistica incaricata del vaglio delle nuove tombe al Verano. Fu autore dell’ampliamento del Pincetto Nuovo verso la Rampa Caracciolo, di cui realizzò il portico con ellementi di spoglio provenienti dall’Antiquarium Comunale. E’ sepolto sulla scalinata che dal viale dei Platani sale all’Altopiano, fra i riquadri 95 e 96 del Pincetto Nuovo. E’ autore di diverse tombe del Verano (es. cappella Barbavara e cappella Bernardini al Piazzale Circolare) e del volume Cimitero del Verano in Roma. Cappelle, Tombe e Lapidi.

Ettore Ferrari (Roma 1845-1929), fu scultore e  patriota. Il padre, ardente mazziniano e difensore del Casino dei Quattro Venti al tempo della Repubblica del ’49, gli inculcò grandi principi etici di democrazia. Ettore fu come il padre attivo uomo politico e nel 1867 prese parte al tentativo insurrezionale romano del 22 ottobre per la presa di Roma, riuscendo a sfuggire alla cattura.

Gli anni della prima attività artistica di Ferrari scultore si collocano su quel versante rivoluzionario della scultura italiana che, tra il 1846 e il 1872, per i soggetti e per i valori per l’arte italiana risorgimentale, si può a pieno titolo definire mazziniano. Il complesso clima politico favoriva l’utilizzazione di tematiche e soggetti esplicitamente insurrezionali, in cui l’arte come propaganda politica, di ribellione all’ingiustizia sociale e di rivolta, costituiva una sfida alla censura politica. In questo clima nascevano opere-manifesto di un verismo rivoluzionario, come lo Spartaco di Vincenzo Vela, aperta lotta antiaustriaca, personificazione del popolo oppresso; il Suicida di Adriano Cecioni, amara prospettiva di ripiegamento; e così il Bruto di Ferrari, del 1870, il ribelle vittorioso che uccide il sovrano per difendere l’istituto repubblicano. Nel 1880 vinse il concorso per la statua di Vittorio Emanuele II a Venezia, inaugurata nel 1887, che celebrò l’inizio di una serie di monumenti pubblici ispirati alle gesta e agli uomini del Risorgimento. I monumenti a cui è indissolubilmente legata la sua fama sono il Giordano Bruno, collocato con solenne inaugurazione -non scevra di numerose polemiche - a Campo dei Fiori nel 1887, e ancora il Giuseppe Mazzini sull’Aventino, iniziato nel 1890 ma realizzato tra il 1902 e il 1911.

Dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, Ferrari partecipò continuativamente alla politica in Italia. Deputato, consigliere e assessore al Comune (1882-1892), fu sempre ispirato a quegli ideali di democrazia e giustizia sociale a cui il padre lo aveva instradato. In parlamento si battè a favore del suffragio universale e della laicizzazione dell’insegnamento nei diversi gradi.   

Entrato nella Massoneria nel 1881, quale membro della Camera elettiva, poi quale segretario, mantenne la carica di Gran Maestro dal 1904 al 1917, in sostituzione del dimissionario Nathan. Grande sostegno dette alla vittoria del blocco popolare a Roma nel 1906. Candidato alle elezioni del 1900 quale sindaco in ballottaggio col clericale Leopoldo Torlonia, ne uscì sconfitto. Nel 1914, aderì alle prospettive di guerra con l’Intesa, spingendo la massoneria su queste posizioni.

Durante il fascismo subì interrogatori e perquisizioni. Nel novembre del 1925, dopo l’approvazione della legge voluta da Mussolini contro le società segrete, il suo studio rimane sorvegliato dalla polizia e più volte invaso. Il 25 maggio 1929 fu denunciato per tentata riorganizzazione della Massoneria.