Nacque da Giuseppe e da Angela Petrucci, fruttivendoli in Campo de’ fiori. Abbandonata presto la scuola, esercitò diversi mestieri (fattorino, meccanico, decoratore, guardiano notturno, postino). Nelle sue prime poesie in dialetto presero forma quei personaggi della Roma popolare e piccolo-borghese (il tranviere, il vetturino, il portiere, il pescivendolo), che dal 1931 iniziò a presentare negli spettacoli di varietà. Il successo in coppia fissa con Beatrice Rocchi, in arte Reginella, si consolidò sia nella scena che nella vita con il matrimonio avvenuto nel 1932. Fu uno dei personaggi più rappresentativi del cinema italiano del secondo dopoguerra, in film e commedie ascrivibili al neorealismo minore e al genere dialettale; per il suo fisico corpulento, la voce roca e affaticata, lo sguardo a volte triste e a volte ironico, diede vita a indimenticabili figure. Esordisce con Avanti c’è posto nel 1942, e subito dopo in Campo de’ fiori nel 1943, entrambi film di Mario Bonnard. I suoi personaggi scettici, spiritosi, pervasi da una vena malinconica trovarono ancora nel vetturino di L’ultima carrozzella (1943) di Mario Mattoli, un’interpretazione genuina, in cui l’argutezza e la semplicità rivelavano la nascita del personaggio cinematografico.
Negli stessi anni è a teatro, come attore e autore (1944, Volemose bene e Hai fatto un affare), ma è al cinema che si dedicherà maggiormante in questo periodo. La più grande interpretazione fu quella drammatica del prete antifascista in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini.
Negli anni seguenti interpretò ruoli comici ma con risvolti sempre più amari, come la figura del bidello che vede coronare il suo sogno di avere un figlio insegnante, ma che da questi viene infine respinto in Mio figlio professore (1946) di Renato Castellani, o quella del mite e coraggioso contadino che si sacrifica per salvare il proprio paese da una rappresaglia nazista in Vivere in pace (1947) di Luigi Zampa. Recita nel 1950 in Francesco, giullare di Dio di Rossellini, in un ruolo a lui insolito, un personaggio stravagante e quasi fiabesco, quello del truculento tiranno Nicolaio, nascosto da un’enorme armatura, che sottopone a terribili vessazioni frate Ginepro per il quale, però alla fine prova pietà. L’anno successivo è coprotagonista in Guardie e ladri di Mario Monicelli e Steno, in cui per la prima volta la sua ironia disincantata venne messa a confronto con l’incontenibile comicità di Totò. Seguirono i film Parigi è sempre Parigi (1951) di Luciano Emmer, Signori, in carrozza! (1951) di Zampa e Altri tempi-Zibaldone n. 1 (1952) di Blasetti. Successivamente, come attore, ripiegò su un personaggio collaudato, il grasso e gioviale brontolone, in abiti di piccolo-borghese o in divisa di sottufficiale, che difende i valori di un tempo, esaltando il passato, anche quello politico.
Come regista, dopo l’esordio, nel 1949, in Emigrantes (girato in Argentina), ottenne un grande successo con la nota trilogia incentrata sulle disavventure di un padre di famiglia piccolo-borghese (La famiglia Passaguai, 1951; La famiglia Passaguai fa fortuna e Papà diventa mamma, entrambi del 1952), in cui Fabrizi si ispirò ampiamente alle sue esperienze nel teatro dialettale e nel varietà. La sua ultima regia fu Il maestro (1958) in cui impersonava l’insegnante Morino, la cui interpretazione non godette del favore del pubblico, né della critica, che invece più tardi lo sosterrà in quella di Mastro Titta nel Rugantino (1962, di P. Garinei), presentato al teatro Sistina. La sua attività di poeta, congiunta alla passione per la gastronomia, riemerse con vigore negli anni Settanta, con due raccolte, la Pastasciutta (Milano 1970) e Nonna Minestra (1974). Ottenne due volte il nastro d’argento, nel 1951 per Prima comunione (1950) di Alessandro Blasetti e nel 1975 per C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola. Nel 1988 ricevette il David di Donatello alla carriera, insieme a M. Cecchi Gori e F. Rosi. Sofferente di insufficienza cardiaca e respiratoria muore in una casa di riposo romana il 2 aprile 1990.