Nel '23 esordisce in teatro nella compagnia di Tatjana Pavlova. Nel '33 fonda una compagnia con la moglie e si specializza nel repertorio della commedia brillante. Nel cinema il suo volto diventa popolare grazie al ruolo da protagonista nel film di Camerini Gli uomini che mascalzoni! ('32), e alle successive collaborazioni con il regista in quel genere popolare denominato dei “telefoni bianchi”. De Sica diventa in quegli anni un divo, adorato dal pubblico non per gli straordinari attributi fisici o per una particolare maestria nei gesti, ma per i suoi modi simpatici e familiari in cui gli spettatori possono facilmente identificarsi. In fondo i ruoli recitati da De Sica incarnano alla perfezione i sogni di benessere dell'italiano medio in un paese che vive la crescita industriale in maniera inconsapevole, situazione questa avallata chiaramente dal regime fascista. Nel '40 con Rose scarlatte passa alla regia, girando alla maniera di Camerini alcune commedie sentimentali. La collaborazione con lo sceneggiatore Zavattini segna la sua definitiva maturazione artistica come regista che si manifesta ne I bambini ci guardano ('43), film drammatico che mette in risalto il tema dell'infanzia (che ricorre costantemente nell'opera di De Sica) ma che lascia indirettamente trasparire anche l'atmosfera angosciante generata dal conflitto mondiale.
Nell'immediato dopoguerra De Sica e Zavattini sono esponenti di spicco del movimento neorealista. Le loro opere dal linguaggio scarno e di impegno civile mettono in luce un'estetica che attinge da situazioni marginali, l'infanzia abbandonata in Sciuscià ('46), il dramma della disoccupazione in Ladri di biciclette ('48) e la solitudine degli anziani in Umberto D ('52), ma senza sacrificare l'elemento della speranza evidenziato anche in chiave surreale in Miracolo a Milano ('51).
La contraddizione tra film come arte e film come industria grava pesantemente sulla riflessione di De Sica che cita Chaplin come esempio di equilibrio perfetto tra lato artistico e commerciale.
Dopo questi film molto apprezzati dalla critica (molto meno dal grande pubblico e dalle gerarchie democristiane) De Sica e Zavattini proseguono la loro collaborazione, che solo a tratti raggiunge i risultati straordinari del periodo neorealista, producendo comunque film di notevole valore: L'oro di Napoli ('54), La ciociara ('60) dal romanzo di Moravia, Il boom ('63), e Ieri, oggi e domani ('63). Senza l'apporto di Zavattini il regista gira: Matrimonio all'italiana ('64) dalla commedia Filumena Marturano di De Filippo, e Il giardino dei Finzi Contini ('70) dal romanzo di Bassani, con il quale riceve l'Oscar come miglior film straniero e l'Orso d'oro a Berlino.
Una caratteristica spesso dimenticata del regista è la sua grande capacità di dirigere gli attori, che siano professionisti o presi dalla strada poco importa. De Sica valorizza al massimo la recitazione tanto che il rapporto tra la macchina da presa e l'attore diventa simbiotico, facendone una sua cifra stilistica. Memorabile rimane la sequenza della partita di carte ne L'oro di Napoli nella quale l'anziano conte e il figlio del portiere (interpretato dal piccolo Pierino Bilancioni in modo sorprendente) giocano davvero durante le riprese sfruttando al massimo quella capacità di improvvisazione tipica della cultura partenopea.
De Sica acquista un'enorme popolarità interpretando il ruolo del maresciallo dei carabinieri bonario e in cerca di avventure sentimentali in Pane, amore e fantasia ('53), film di Comencini che diventa una pietra miliare del cosiddetto neorealismo rosa. Infatti parallelamente al lavoro di regia continua la sua professione d'attore lasciandoci interpretazioni straordinarie sia nel registro comico, come nel già citato nobile decaduto ossessionato dal gioco ne L'oro di Napoli; oppure in chiave drammatica con il falso generale ne Il generale Della Rovere ('59) di Rossellini.