Diplomatosi in regia al Centro Sperimentale lavora in qualità di sceneggiatore in numerosi film del cosiddetto genere dei “telefoni bianchi”. Questo filone in auge negli anni '30 deve il suo nome all'apparecchio telefonico simbolo di modernità presente nei grandi ed eleganti interni alto-borghesi ricostruiti nei teatri di posa, ambienti che traggono spunto dalla pittura di Carlo Levi che privilegia spazi interamente bianchi e molto luminosi.
I lavori di Zampa che si ricordano maggiormente di questa fase sono: Un mare di guai ('39) di C.L. Bragaglia e Mille lire al mese ('39) di Neufeld.
Nel '40 comincia la sua carriera dietro la macchina da presa con L'attore scomparso, commedia leggera che rimane aderente a quei canoni sui quali aveva già operato in sede di sceneggiatura.
Nel dopoguerra dirige Vivere in pace ('47) e L'onorevole Angelina ('47), film che con una certa forzatura vengono inclusi nel movimento neorealista; semmai la sua analisi della realtà italiana si spinge sino alla caricatura vivace e alla satira di costume sotto forma di apologo.
La produzione a cavallo tra gli anni '40 e '50 si arricchisce di opere di grande spessore (anche in virtù della stretta collaborazione con lo scrittore Brancati) quali: Anni difficili ('46), Anni facili ('53) e L'arte di arrangiarsi ('54). Sempre nel '54 dirige La romana, tratto da un romanzo di Moravia.
Zampa si confronta anche con il genere di impegno sociale nel film Processo alla città ('52) in cui analizza con indignazione le infiltrazioni della camorra a Napoli agli inizi del '900.
Negli anni '60 e '70 lavora sul genere che forse conosce meglio, la satira sul malcostume e il trasformismo degli italiani che evidenzia alcune situazioni gogoliane e kafkiane, trovando un notevole successo al botteghino (grazie all'apporto di Sordi) partendo da Il vigile ('61), Anni ruggenti ('62) con Manfredi protagonista, Una questione d'onore ('66), Il medico della mutua ('68), sino ad arrivare a l'eccesso feroce e grottesco con Il mostro ('77).