Laureatosi in lettere e giurisprudenza all'Università di Pavia, vicino fin da giovanissimo ad ambienti liberali e patriottici, Macchi si legò soprattutto a Carlo Cattaneo, del quale divenne il più fedele discepolo. Macchi fu segretario di redazione de Il Politecnico dal 1839 al 1844. L'attività pubblicistica gli attirò i sospetti della polizia austriaca, che lo arrestò più volte e nel gennaio 1848 lo costrinse a emigrare in Piemonte, dove collaborò al Messaggiere torinese di A. Brofferio, cui lo avvicinava la fede democratica e la condivisione del principio federalistico cattaneano.
Dopo aver partecipato all'insurrezione di Milano del marzo 1848, fu nuovamente attivo a Torino dove fondò inoltre una scuola domenicale per gli operai, nella quale impartì gratuitamente lezioni di storia politica e di morale. Nel febbraio 1850, pubblicò un opuscolo polemico contro il governo dei moderati (La vita politica di Massimo d'Azeglio, Torino 1850) e si trasferì a Genova. Qui fra marzo e agosto del 1850 fondò e diresse il quotidiano L'Italia, cui conferì uno spiccato carattere repubblicano con qualche apertura alle idee socialiste. Attraverso il giornale, Macchi si adoperò per tentare di comporre il dissidio crescente fra G. Mazzini e Cattaneo sui metodi e gli obiettivi della strategia rivoluzionaria. Rivelatasi tuttavia impraticabile ogni ipotesi di conciliazione, egli sposò in pieno le tesi cattaneane sulla priorità da dare alla lotta per le libertà rispetto a quella per l'indipendenza e alla soluzione federale rispetto a quella unitaria. La rottura dei rapporti con il campo mazziniano si ebbe dopo il fallimento del moto milanese del 6 febbraio 1853, che, oltre a costringerlo a fuggire per qualche mese dall'Italia, lo convinse definitivamente della necessità di evitare sterili sollevazioni popolari e di concentrare piuttosto gli sforzi sull'attività propagandistica e organizzativa. Rientrato a Genova collaborò assiduamente fra il 1854 e il 1857 a La Ragione, il periodico da lui diretto, che professava un razionalismo anticattolico e un democratismo sociale avverso a Mazzini.
Macchi condensò le sue opinioni in un volume di Studj politici (Genova 1854) e nell'opuscolo Le armi e le idee (Torino 1855), nei quali ribadì la sua condanna del metodo cospiratorio e insurrezionale, l'impossibilità di separare la causa dell'indipendenza da quella della libertà, la certezza del primato della Francia in campo rivoluzionario, la superiorità della repubblica rispetto ad altre forme di Stato, la fede in una idea di socialismo che non sfociasse nell'"irreligione" e nell'abolizione della proprietà.
Nel 1856 avversò l'idea, avanzata da D. Manin, di dar vita a un "partito nazionale" nel quale avrebbero dovuto confluire repubblicani e monarchici costituzionali (La pace, Genova 1856). Tuttavia nel 1859, superata qualche iniziale perplessità sulla politica piemontese, abbracciò convinto la causa della lotta per l'indipendenza e, chiamato dal dittatore L.C. Farini, tenne l'ufficio di segretario del ministero della Guerra a Modena. Nel 1860 fu eletto deputato nel collegio di Cremona, mandato confermato ininterrottamente fino alla XIII Legislatura (elezioni del 1876). Prese parte molto attiva ai lavori della Camera, dove sedette a sinistra, cercando di promuovere la laicizzazione dello Stato, la soppressione degli ordini religiosi e la liquidazione dell'asse ecclesiastico, l'istruzione elementare obbligatoria, l'abolizione dell'esercito stanziale e la sua sostituzione con la nazione armata.
Nell'ottobre 1860 partecipò a Milano all'VIII congresso delle società operaie italiane, di cui fu eletto vicepresidente. Pur sensibile ad alcune istanze del nascente movimento socialista, continuò a militare nelle file della Sinistra democratica, accantonando la pregiudiziale repubblicana, accettando le istituzioni monarchiche e distinguendosi semmai per un'accentuazione delle tendenze razionaliste e anticlericali oltre che per l'impegno sul fronte europeista e pacifista, in sintonia con Cattaneo. Tali principî lo portarono ad aderire alla massoneria, cui fu iniziato nel 1862 e a ricoprire importanti incarichi direttivi nel Grande Oriente d'Italia. Tra il 1868 e il 1880 sulle pagine dell'Annuario istorico italiano sviluppò il tema dell'impegno per una riforma della scuola e dell'istruzione (introduzione dell'obbligo scolastico, abolizione di ogni insegnamento religioso, miglioramento delle condizioni dei maestri, ecc.) come strumento per rafforzarele basi laiche dello Stato. Sostenne le battaglie anticlericali anche alla Camera e nel 1876 promosse la riforma del codice di procedura penale che eliminava l'obbligo di prestare giuramento in nome dei principî religiosi.
Il suo impegno sul versante pacifista si concretizzò nella partecipazione al congresso internazionale della pace, a Ginevra nel settembre 1867, nel corso del quale fu eletto vicepresidente. Atto fondativo del moderno pacifismo democratico, il congresso segnò la nascita della Lega internazionale della pace e della libertà, del cui comitato direttivo egli fece parte fino alla morte. Fu nominato senatore il 16 marzo 1879.