Nel 1897 all'età di quindici anni si imbarcò come mozzo sulla nave scuola Ettore Fieramosca, passando poi sulla nave corazzata Emanuele Filiberto e infine sull'incrociatore Coatit. Nel 1904 fu coinvolto in scontri sul Mar Rosso contro i pirati che infestavano il mare antistante la colonia italiana dell'Eritrea.
Congedatosi, nel 1905, Toti fu assunto nelle Ferrovie dello Stato come fuochista. Il 27 marzo 1908, mentre lavorava alla lubrificazione di una locomotiva, che si era fermata nella stazione di Colleferro per effettuare l'aggancio a una doppia locomotiva e per fare rifornimento d'acqua, a causa dello spostamento delle locomotive, Toti scivolò rimanendo con la gamba sinistra incastrata e stritolata dagli ingranaggi. Subito portato in ospedale, l'arto gli fu amputato al livello del bacino. Perso il lavoro, si dedicò a innumerevoli attività tra cui la realizzazione di alcune piccole invenzioni custodite a Roma, nel Museo storico dei bersaglieri.
Nel 1911, pedalando in bicicletta con una gamba sola, raggiunse dapprima Parigi, quindi attraversò il Belgio, i Paesi Bassi e la Danimarca, fino a raggiungere la Finlandia e la Lapponia. Da lì attraversò la Russia e la Polonia, rientrando in Italia nel giugno 1912. Nel gennaio 1913 partì nuovamente in bicicletta, stavolta diretto verso il sud: da Alessandria d'Egitto raggiunse il confine con il Sudan dove le autorità inglesi, giudicando troppo pericoloso il percorso, gli imposero di concludere il viaggio e lo rimandarono al Cairo da dove fece ritorno in Italia.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Enrico Toti presentò tre domande di arruolamento che furono respinte. Toti decise, nonostante tutto, di inforcare la bicicletta e di raggiungere il fronte presso Cervignano del Friuli. Qui fu accolto come civile volontario e adibito ai "servizi non attivi", privo, quindi, delle stellette militari. Una sera, però, fermato da una pattuglia di carabinieri a Monfalcone, fu obbligato a tornare alla vita civile. Nel gennaio 1916, anche grazie all'interessamento del Duca d'Aosta, riuscì ad essere destinato al Comando Tappa di Cervignano del Friuli, sempre come volontario civile. Destinato inizialmente alla brigata "Acqui", riuscì a farsi trasferire presso i bersaglieri ciclisti del terzo battaglione. In aprile i medesimi bersaglieri, presso i quali si era trovato a combattere, lo proclamarono uno di loro e lo stesso comandante, il maggiore Rizzini, gli consegnò l'elmetto piumato da bersagliere e le stellette.
Nell'agosto 1916 cominciò la sesta battaglia dell'Isonzo che si concluse con la presa di Gorizia. Il 6 agosto 1916, Enrico Toti, lanciatosi con il suo reparto all'attacco di Quota 85 a est di Monfalcone, fu ferito più volte dai colpi avversari, e con un gesto eroico, scagliò la gruccia verso il nemico esclamando: "Nun moro io!" (io non muoio!), poco prima di essere colpito a morte e di baciare il piumetto dell'elmetto.
Fu decorato con la medaglia d'oro al valor militare alla memoria, con motu proprio dal re in persona, non essendo immatricolato come militare a causa della sua inabilità, "perché ne sia tramandato il ricordo glorioso ed eroico alle generazioni future".
La salma fu trasportata inizialmente a Monfalcone, poi il 24 maggio 1922, settimo anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia, venne trasportata a Roma dove ricevette solenni funerali. Durante e dopo la cerimonia, nel difficile clima politico e sociale del primo dopoguerra italiano, pochi mesi prima della presa del potere del fascismo, nei pressi di Porta San Lorenzo, vi furono sanguinosi scontri (alcuni colpi di arma da fuoco colpirono il feretro) tra comunisti ed anarchici da un lato e la Guardia regia, seguiti da uno sciopero generale. Gli avvenimenti che, secondo un primo bilancio apparso sui quotidiani, provocarono un morto e venticinque feriti furono oggetto, il giorno successivo, di accese polemiche in una seduta della Camera dei deputati.