Angelo Zanelli, dopo una prima formazione come scalpellino e marmista a Salò e a Brescia, e la frequenza dell’Accademia di Belle Arti a Firenze, giunse a Roma nel 1904 in qualità di vincitore del pensionato artistico quadriennale. Eseguì in questo periodo il monumento a Giuseppe Zanardelli e il busto del liutaio Gaspare per la città di Salò.
Nel 1909, vinse il concorso per il grande fregio dell’Altare della Patria che fu prima realizzato in gesso (1911) e poi sostituito con il definitivo altorilievo in botticino (1925), raffigurante Il trionfo del lavoro e Il trionfo dell’amor patrio. Quest’opera, considerata il suo capolavoro, presenta delle affinità tematiche e stilistiche con il bassorilievo bronzeo, precedente di alcuni anni, posto sulla tomba di Zanelli. Entrambi i fregi, infatti, si ispirano all’antichità di Fidia e all’ellenismo, nonchè al Rinascimento di Donatello e di Michelangelo, unitamente alla moderna tradizione dei linguaggi liberty e simbolista ormai al tramonto. Per il Vittoriano lo scultore bresciano realizzò anche la statua della Dea Roma che domina la tomba del Milite Ignoto. Il mito della mediterraneità espresso in forma monumentale nell’Altare della Patria divenne presto, ma con istanze e fini politici completamente estranei alla figura di Zanelli, uno dei principali riferimenti dell’arte di regime.
L’artista realizzò numerose altre opere di grandi dimensioni: il monumento al Generale Artigas, inaugurato a Montevideo nel 1923 e gli altorilievi che ornano il Campidoglio all’Avana, eseguiti su incarico del governo cubano (1928). Nel 1931, Zanelli eseguì anche la statua in bronzo dell’Ammiraglio Togo per la storica nave giapponese Misaka.
Ottenne numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero, tra i quali la cattedra di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma.
La tomba Zanelli ospita le spoglie dello scultore e della moglie, la pittrice Elisabetta Kaehlbrandt. Il 14 ottobre 1950, lei stessa chiese al Comune di Roma la concessione di un’area del Famedio per la sepoltura del marito. La tomba venne concessa gratuitamente nel 1951 e il progetto fu approvato due anni dopo dalla commissione artistica del Verano (Archivio cimiteriale di Roma).
L’opera è una variante della testata del più vasto fregio funerario Ave Maria che Zanelli realizzò nel 1908 per la tomba di un miliardario americano. Il monumento, su progetto di Marcello Piacentini, si sarebbe dovuto presentare come un tempietto rotondo sullo stile del tempio di Vesta a Tivoli. Non fu mai realizzato; il fregio, già modellato in gesso, venne comunque fuso in bronzo per essere condotto al Musée du Luxemburg a Parigi, dove però non giunse mai. Riscoperto dalla famiglia nello studio dell’artista alla sua morte, nel 1942, venne donato allo Stato nel 1952 insieme a molte altre opere oggi conservate nella Gipsoteca del Vittoriano. Nello stesso periodo venne edificata la tomba dello scultore, utilizzando appunto una parte di questo fregio funerario.
La pittrice Elisabetta Kaehlbrandt (Riga, Lettonia 1880-Bergamo 1970), dopo una formazione internazionale (Pietroburgo, Monaco di Baviera, Parigi), giunse a Roma per un soggiorno di studio. Qui decise di rimanere dopo aver conosciuto Angelo Zanelli, che sposò nel 1909. La sua opera è caratterizzata da un respiro di risonanza europea in cui ai riferimenti francesi del postimpressionismo si uniscono le suggestioni italiane novecentiste, mai disgiunti da una vena paesistica espressa attraverso un vivace cromatismo. Espose nel 1920 alla XII biennale d’arte di Venezia e alla mostra di belle arti degli Amatori e Cultori a Roma. La pittrice mantenne sempre una propria autonomia stilistica rispetto all’attività del marito, anche se in qualche raro caso collaborò con lui, ad esempio disegnando alcuni cartoni per il colossale complesso scultoreo dell’Avana.