Il padre esercitò a Milano l’attività commerciale fino al 1830, quando fu esiliato dai domini austriaci perché sospettato di aver preso parte ad attività cospirative. Nel 1836 anche il figlio Giacomo, insofferente del regime austriaco, abbandonò la città natale e si arruolò volontario nel reggimento dei Cacciatori d’Oporto in Spagna con il quale si distinse dal 1837 al 1840 nella guerra contro i carlisti. Nel 1840 si trasferì in Inghilterra dove entrò in contatto con l’ambiente degli esuli democratici e, conosciuto Giuseppe Mazzini, abbracciò gli ideali repubblicani. Quando, nel dicembre 1845, decise di raggiungere il padre a Montevideo, fu appunto Mazzini a introdurlo negli ambienti democratici facenti capo a Giuseppe Garibaldi.
L’elezione di Pio IX e le riforme attuate da Carlo Alberto lo indussero nel febbraio 1848 a tornare in patria, alla vigilia dello scoppio della I guerra di indipendenza, precedendo di qualche settimana Garibaldi. Ricongiuntosi a lui, passò a Milano e fu nominato dal governo provvisorio capitano del corpo di volontari garibaldini, combattendo valorosamente tra la sponda lombarda del lago Maggiore e il confine svizzero. A dicembre 1848 era in Toscana: qui, in poco meno di due mesi, riuscì a organizzare una legione che mise al servizio del governo Guerrazzi nei pochi giorni che precedettero la restaurazione del granduca. Decise quindi di accorrere a Roma dove il 9 febbraio 1849 era stata proclamata la Repubblica. Il 26 maggio con il grado di maggiore ebbe l’incarico di difendere dall’attacco delle truppe francesi la posizione di porta S. Pancrazio.Il suo battaglione entrò in azione il pomeriggio del 3 giugno trincerandosi nel fabbricato di villa Giraud, detta, per la forma simile alla prua di una nave, «del Vascello». L’eroica difesa e il coraggio dimostrato gli valsero il grado di luogotenente colonnello e la medaglia d’oro al valore da parte del Triumvirato romano. Artefice di una strenua quanto sanguinosa resistenza, Medici desistette solo il 30 giugno alla notizia della resa della città.
Esule a Londra, restandovi fino all’ottobre 1850 quando fece rientro a Genova ed entrò a far parte del comitato mazziniano che si raccoglieva intorno ai membri del comitato di guerra formato da C. Pisacane, E. Cosenz, A. Bertani, A. Mario, N. Bixio, G. Sirtori e B. Cairoli.
A partire dal 1851 Medici iniziò a prendere le distanze da Mazzini, ma la rottura definitiva giunse solo dopo il fallimento del moto milanese del 6 febbraio 1853 cui negò il suo apporto, convinto che nulla potessero le cospirazioni e i tentativi di insurrezione isolati contro gli eserciti regolari.
In dissenso con la direzione mazziniana dell’iniziativa rivoluzionaria, in quegli anni intensificò i contatti con C. Benso conte di Cavour, preludio alla scelta di una soluzione monarchica della causa italiana.Collabora alla costituzione di un corpo di volontari composto da tre reggimenti della brigata Cacciatori delle Alpi sotto il comando di Garibaldi e nel marzo del 1859 assunse con il grado di tenente colonnello il comando del secondo reggimento con il quale partecipò alla campagna italiana contro l’Austria combattendo a Varese e a San Fermo.
Nei primi mesi del 1860 (il 23 febbraio era stato ammesso nell’esercito sardo come colonnello) i contatti con Cavour si intensificarono, accentuando la distanza dagli ambienti democratici che progettavano una spedizione nell’Italia centrale per liberare Roma. Da quel momento fino al raggiungimento dell’Unità Medici, pur restando un seguace di Garibaldi, divenne il moderatore del partito rivoluzionario. Il 17 maggio si dimise dall’esercito regolare per prendere parte all’impresa dei Mille organizzando una seconda spedizione di rinforzi in Sicilia ed entrò a Palermo il 20 giugno con 3000 volontari.
Dopo aver combattuto a Milazzo ed essere entrato il 28 luglio a Messina, fu promosso maggior generale; raggiunta Napoli e ricongiuntosi con Garibaldi, fu con lui alla battaglia del Volturno che il 1° ottobre concluse vittoriosamente la campagna nell’Italia meridionale. Per tutto ciò fu promosso luogotenente generale dell’esercito meridionale, grado che mantenne anche dopo il 10 aprile1862 quando fu incorporato nell’esercito regio regolare.
Medici guardò con preoccupazione il passaggio di poteri da Garibaldi al re Vittorio Emanuele II e soffrì per il trattamento riservato all’esercito meridionale da parte della casta militare piemontese. A Palermo, di concerto con il prefetto F. Gualterio, Medici inferse nel maggio del 1865 un grave colpo alla cospirazione borbonico-clericale, senza però sradicare del tutto un’opposizione eterogenea che vedeva alleate la politica e la criminalità comune. Nei mesi luglio-agosto 1866 fu impegnato nella guerra per la liberazione del Veneto come comandante della 15ª divisione nel IV corpo d’armata e con le sue truppe arrivò fino alle porte di Trento, ma fu bloccato nella sua avanzata dall’armistizio di Cormons (12 agosto). Nel dicembre 1866 era di nuovo in Sicilia come comandante generale di tutte le truppe stanziate nell’isola e con l’impegnativo compito di ristabilire la fiducia popolare nell’autorità e nell’ordine pubblico. Il 25 giugno 1868 fu nominato prefetto di Palermo con estensione del mandato anche ai compiti attribuiti alla direzione generale dei lavori pubblici.Nel corso del suo mandato, egli concentrò l’azione intorno a tre punti principali: impulso alle opere pubbliche, soprattutto alla rete viaria e ferroviaria, istruzione e pubblica sicurezza.
Esponente della mentalità borghese settentrionale, era convinto che il progresso economico e sociale dell’isola fosse legato allo sviluppo delle infrastrutture. Nei suoi rapporti al ministero degli Interni non mancò di sottolineare la percezione diffusa della lontananza dello Stato centrale, le disastrose condizioni dei Comuni, la necessità di ulteriori contributi nella esecuzione dei lavori pubblici; evidenziò inoltre il rischio della spinta antiunitaria che accomunava sovversivi e legittimisti, guadagnando così consenso nell’ala moderata della democrazia siciliana: tra questi Mazzini che, sbarcato a Palermo il 13 agosto 1870 per preparare una sollevazione in Sicilia, fu subito arrestato per suo ordine e trasferito al carcere militare di Gaeta.
Fu deputato per tre legislature e nominato senatore il 2 giugno 1870. Uomo d’azione con una mentalità da militare, non si astenne però dalle discussioni parlamentari ottenendo la stima dei suoi colleghi anche come uomo politico. La sua tomba al Verano si presenta come un monumento pubblico ed è opera di Giulio Monteverde (Bistagno/AL 1837-Roma 1917).