Appartiene a una fmiglia di orafi, collezionisti, antiquari e ceramisti, vera e propria "dinastia" (attiva a Roma per oltre un secolo, dal 1814 al 1930), della quale fu "capostipite" Fortunato, anch’egli qui sepolto. Dei suoi tre figli maschi Alessandro e Augusto, noti anche per la loro vivace attività politica, collaborarono con lui e ne continuarono le attività di orafo, di antiquario e di collezionista; Guglielmo, invece, si dedicò alla ceramica. Augusto intraprese gli studi classici, nonché l'apprendimento delle tecniche dell'arte paterna. Cresciuto nell'ossequio alla religione cattolica, all'avvento di Pio IX fu preso da entusiasmo per le teorie giobertiane e vide anch'egli nella figura del papa il possibile artefice della rinascita della nazione. Nel 1849, il rifiuto di carattere ideologico dei principi della Repubblica romana non gli impedì tuttavia di partecipare alla difesa di Roma nelle file dell'artiglieria, con la quale si distinse nel respingere l'assalto del 3 giugno e quindi nella difesa del Gianicolo. Dopo l'ingresso dei Francesi, denunziato per essere rimasto coinvolto con il fratello Alessandro in un tumulto scoppiato nel centro della città il 15 luglio 1849, Augusto rimase in carcere fino al 26, quando il padre ne ottenne la liberazione. Da allora, abbandonata ogni forma di politica attiva, si dedicò alla conduzione del laboratorio, di cui nel 1851 gli venne affidata la direzione amministrativa. Il contatto con gli esponenti più illuminati della borghesia romana e con alcuni diplomatici stranieri, come l'inglese Odo Russell, lo spinse a vedere in una forte monarchia nazionale quale quella sabauda il perno di un futuro riassetto della penisola: tutto ciò mentre invece il fratello si legava sempre più agli ideali repubblicani. Una sua larvata opposizione al potere temporale, al quale, a suo parere, erano da attribuire le maggiori responsabilità per il malessere economico che affliggeva lo Stato e con il quale si scontrò più di una volta - come quando, per esempio, tentò invano di creare una società per azioni, che impedisse la vendita all'estero dei gioielli delle raccolte Campana -, caratterizzò anche gli anni immediatamente precedenti il 1870. All'indomani della liberazione di Roma Augusto accettò l'invito rivoltogli da R. Cadorna di far parte della Giunta provvisoria di governo, all'interno della quale egli si batté per una linea che salvaguardasse le esigenze della popolazione romana, ne esprimesse fedelmente i sentimenti monarchici e unitari, e attenuasse i toni troppo accesamente anticlericali di una parte degli esponenti del liberalismo locale, pur senza transigere sulla necessità di una netta separazione tra Chiesa e Stato: questa affermazione di principi provocò acerbi contrasti con il fratello, attestato su posizioni più radicali. Compiuto il plebiscito (2 ott. 1870), Augusto fece parte della delegazione incaricata di consegnarne i risultati a Vittorio Emanuele II.
Augusto partecipò alla vita amministrativa e culturale della città, con l'incarico di direttore del Museo capitolino e fu promotore del Museo Artistico Industriale. Oltre a numerosi studi, strettamente pertinenti al suo mestiere di orafo (Dell'oreficeria rispetto alla legislazione, Firenze 1863; L'arte nell'industria, in Monografia della Città di Roma e della Campagna Romana presentata all'Esposizione Universale di Parigi del 1878, Roma 1879, pp. 395-406; Ricordi per la storia dell'oreficeria, Fiuggi 1913), Augusto ha pubblicato anche articoli nel Bullettino d. Commissione archeologica comunale, per presentare pezzi eccezionali dovuti ai suoi felici acquisti (il "bisellio" di Amiterno) oppure a fortunate scoperte nel suolo di Roma (corredo di una tomba di fanciulla, Crepereia Tryphaena, composto di squisiti gioielli di età romana, seconda metà II sec. d. C.), che egli non solamente assicurò alle collezioni capitoline, ma restituì alla loro originaria preziosità con intelligente e paziente opera di restauro eseguita dal figlio Alfredo.