Luca Carimini (Roma 1830 – 1890) lavora come scalpellino dal 1846 presso la bottega di Pietro Romaggi, considerato il migliore marmista di Roma del periodo. Qui eseguì stele e cappelle funerarie; verso il 1850 lo zio materno, Baldassarre Bellucci, capomastro imprenditore, gli aprì una bottega di scalpellino facendolo collaborare ai propri lavori; questa attività gli diede modo di approfondire la conoscenza dei materiali attraverso il loro uso artigianale.Contemporaneamente frequentava la scuola di ornato all'Accademia di S. Luca. In pochi anni la bottega da lui diretta arrivò ad avere circa sessanta allievi apprendisti; i lavori eseguiti sono principalmente monumenti e cappelle funerarie, monumenti all'interno di chiese e altari. Nel 1868 l'Archiginnasio della Sapienza lo riconobbe architetto in seguito alla segnalazione della commissione di esami dell'accademia, nella quale erano membri, fra gli altri, L. Poletti, V. Vespignani e L. Sarti.
Con l'inizio dell'attività di architetto e i lavori su grande scala, come la decorazione generale dell'interno e la confessione della chiesa di S. Salvatore in Onda a Roma (1867-78), Carimini consolidò la sua fama di accurato costruttore, lavorando non solo in Italia, ma anche all'estero, soprattutto in Sudamerica. Già i primi lavori da architetto, come il restauro della chiesa di S. Maria di Loreto al Foro Traiano e la nuova sacrestia, in collaborazione con Giuseppe Sacconi (1871), mostrano chiaramente la sua abilità ed esperienza su cui sviluppò la ricerca architettonica.La professione di scalpellino rappresenta la matrice di tutta la sua opera architettonica. Il repertorio tipologico quattrocentesco, indagato soprattutto nell'architettura minore e nel dettaglio, che gli era servito per i monumenti e le cappelle sepolcrali, gli fornì specifici strumenti formali da usare nella struttura generale della composizione. Per la sua conoscenza dei materiali Carimini viene designato, nel 1886 perito di fiducia, da parte sia del municipio di Roma sia della ditta costruttrice, per la vertenza sulla qualità del travertino impiegato nella costruzione del ponte Garibaldi. La correttezza professionale è riconoscibile non solo nella esecuzione degli edifici, ma anche, più in generale, nel modo di affrontare i problemi architettonici, fino ad arrivare alla rinuncia del proprio linguaggio figurativo di fronte alle necessità di ambientamento nella Roma cinquecentesca, come nel Collegio francese in piazza di S. Chiara e nella facciata della vicina chiesa di S. Chiara (realizzata nel 1885-1890) in cui all'uso del mattone è sostituito quello dell'intonaco.
La sua vicenda si chiude con il progetto del palazzo di Giustizia a Roma (1882), incarico commissionatogli direttamente ma poi revocato; la costruzione ideata, un pesante edificio quadrato con una alta torre al centro, è molto complessa e non raggiunge certo la compiutezza di altre opere, mostrando la difficoltà di applicare a grandi temi un metodo che si fonda ancora su di un rigore artigianale e che trova una naturale espressione in edifici piccoli o di medie dimensioni.Numerose le sue opere al Verano, tra le quali i monumenti D'Amico, De Belardini, Venier Marignoli, Rezzi, Santini e le cappelle Chiesi, Avenoli, Decetto, Cavaceppi, Cassetta, Vannutelli, Lais, Carimini, D'Arcangeli, Blumensthil.
Altrettanto numerosi i suoi interventi architettonici a Roma, tra cui la decorazione generale dell'interno della chiesa di S. Maria in Aquiro e la ricostruzione dell'interno e della parte superiore della facciata della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli.