Era figlio e nipote di due architetti attivi a Roma dal secolo precedente: Pietro Camporese il Vecchio (1726-1781), autore del completamento della facciata della chiesa di Santa Maria in Aquiro e del Collegio Germanico in via della Scrofa e Giuseppe Camporese (1763 – 1822), architetto neoclassico stretto collaboratore di Raffaele Stern, autore della Sala della Biga nei Palazzi Vaticani (1792) e del restauro del teatro Valle insieme a Giuseppe Valadier (1820-22).
L’iscrizione sul sepolcro, che riporta il nome di Pietro Camporese Romano, informa che l’architetto, “ingegno forte di propositi tenaci, patì per la patria XI anni di esilio”, presumibilmente compresi fra il 1845 e il 1869, periodo in cui non risultano sue opere realizzate nella capitale. Nel corso del sesto decennio il Camporese infatti era entrato nel partito di opposizione liberale e nazionale (nel 1859 era uno dei maggiori rappresentanti del Comitato nazionale romano) e nel 1861 prese la difficile via dell'esilio.
La sua attività a fianco del padre fu nella ristrutturazione e al completamento della decorazione della chiesa di Santa Maria in Monserrato (1820-21) e nella partecipazione alla stesura del progetto definitivo di rifacimento in stile della basilica di san Paolo fuori le mura (1825-33). Su incarico della Deputazione dei Pubblici Spettacoli, istituita all’inizio dell’Ottocento per controllare lo stato degli edifici in cui si svolgevano le rappresentazioni attraverso una commissione di cui fece parte anche il padre Giuseppe, Pietro Camporese iniziò il restauro del Teatro Argentina (1837), dotandolo di strutture in muratura. L’anno successivo realizzò per la Posta Pontificia il Palazzo Wedekind su piazza Colonna, attuale sede del quotidiano il Tempo, utilizzando, per la costruzione del portico, 16 colonne ioniche dell’epoca augustea provenienti da Veio. Si occupò anche del rifacimento dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro (1840) e della realizzazione della modesta facciata neoclassica di S. Benedetto in Priscinula (1844). Negli anni quaranta del secolo, l’architetto fu impegnato nel completamento dell’Ospedale di San Giacomo in Augusta, attraverso la realizzazione delle due testate (1842-44) che fiancheggiano la chiesa seicentesca di Carlo Maderno. Le forme sontuose imposte da Gregorio VII per la ricostruzione dell’Ospedale spinsero l’architetto verso l’impiego di un linguaggio tardo classicista, con colonne ioniche architravate e balcone a serliana, già contaminato dalle influenze del neo-cinquecentismo. Nella stessa zona, Pietro Camporese edificò l’edificio a ferro di cavallo dell’Accademia di Belle Arti su via Ripetta (1845), tornando verso uno stile architettonico più semplicemente neoclassico.
L’architetto si occupò anche della ristrutturazione di stampo neoclassico del complesso del Collegio Inglese su Via di Monserrato, trasformato nella chiesa di San Tommaso di Canterbury.